STEFANO È STATO UCCISO
CARABINIERI ASSASSINI
Martedì scorso, verso sera, Stefano Frapporti, detto “Cabana”, viene
fermato a Rovereto da due carabinieri in borghese perché era passato
col rosso in bicicletta. I militi cominciano subito a strattonarlo e a picchiano davanti ad amici e conoscenti; lo trascinano in caserma e poi perquisiscono casa sua, dove trovano un po’ di fumo.
Lo arrestano senza permettergli – né in caserma né in carcere – di avvisare l’avvocato oppure qualche parente. La mattina dopo lo trovano impiccato in cella, al collo il cordino della tuta (che per regolamento non potrebbe avere con sé). Ai famigliari non viene
mostrato il corpo, che viene trasportato in fretta, subito dopo il
funerale, verso la camera di cremazione (non sappiamo se la salma sia
già stata cremata).
Questa storia fa acqua da tutte le parti. Due carabinieri in
borghese che aggrediscono qualcuno per un semaforo rosso non
rispettato, un arresto non comunicato, un “suicidio” compiuto con parti
di vestiti che un detenuto non potrebbe avere quando arriva in cella,
una salma che non viene mostrata ai famigliari, una cremazione non
decisa dalla famiglia. A questo aggiungiamo che un’altra persona è
stata arrestata subito dopo Stefano, sempre per fumo, e che in carcere
aveva sul corpo i segni evidenti di un pestaggio.
Da notare infine il silenzio dei giornali, rotto solo quattro giorni dopo il “suicidio” per dire
che la “procedura dell’arresto è stata ineccepibile” (mettiamo le mani
avanti?), salvo poi rivelare – vedi il “Trentino” di oggi – alcune
perplessità (affermando però allo stesso tempo che i risultati
dell’autopsia confermeranno “fuori di dubbio” che Stefano si è
impiccato).
A noi sembra invece “fuori di dubbio” che se non è stato ucciso in carcere, è stato pestato in caserma (motivo per cui
i famigliari non sono stati avvertiti prima ed è stato poi impedito
loro di vedere il corpo). Di fronte alla denuncia della famiglia, ora
corrono ai ripari aprendo un’inchiesta. Una bella inchiesta. Come quelle sulle torture a Genova…
Sappiamo per certo che non è la prima volta che nella caserma dei carabinieri di Rovereto – come nelle caserme e questure di tutto il mondo – avvengono pestaggi. Per noi le responsabilità della morte di “Cabana”
ricadono sui carabinieri che hanno condotto questa “brillante
operazione”. Se non hanno stretto il cordino attorno al collo di
Stefano, hanno fatto tutto il possibile perché se lo stringesse da sé. È entrato in caserma vivo martedì sera, mercoledì mattina è uscito morto da una cella di via Prati. Punto.
Per questo diciamo che sono degli assassini.
Non possiamo accettare tutto questo. Accettarlo vorrebbe dire rinunciare ad ogni slancio del cuore, ad ogni sussulto di dignità, ad ogni sentimento di solidarietà.
Non possiamo permettere che la normalità cittadina proceda come se niente fosse.